Tribunale di Roma, le prostitute vanno pagate

prostitutaNon si può ritenere “ingiusto il profittopreteso da una prostituta che ha avuto un rapporto sessuale con un cliente e vuole essere pagata, ma anzi questa pretesa, “sino ad oggi non tutelata dall’ordinamento per una certa interpretazione” del “buon costume”, è legittima e si dovrebbe anche consentire di intentare una causa civile “a fronte dell’omesso pagamento”.

È un passaggio di un’innovativa sentenza del Tribunale di Roma che ha condannato a 4 mesi una nigeriana che con sms minatori aveva richiesto a un cliente i 100 euro pattuiti per una prestazione sessuale, riqualificando, però, il reato contestato da estorsione (rischiava dai 6 ai 20 anni di reclusione) in violenza privata.

Secondo il collegio giudicante (presidente Marcello Liotta e giudice estensore Paola Di Nicola), infatti, “tra le prestazioni contrarie al buon costume ai sensi dell’art. 2035 codice civile” non può essere “ricompreso l’esercizio della prostituzione (…) trattandosi di attività ampiamente diffusa nella collettività oltre che consentita dall’ordinamento giuridico”.

Anzi, scrivono i giudici, “se un profilo di contrarietà al buon costume c’è (…) esso riguarda il cliente che approfitta della prestazione sessuale della prostituta“. Tuttavia, “secondo l’orientamento consolidato” il “rifiuto del cliente” a pagare “è un atto consentito poichè nessuna forma di tutela è prevista per ottenere detto compenso non essendo riconosciuto il diritto di pretenderne il pagamento”.

Il Tribunale di Roma riconosce, invece, questo diritto alla prostituta, dopo una lunga analisi sul fenomeno della prostituzione in Europa e in Italia e sul concetto di buon costume. E arriva a sancire che “il profitto della prostituta è giusto“.

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