Sabrina Perrone: “Violenza sulle donne”

Lepisodio-di-violenza-risale-al-2008“Klea, ragazza di 24 anni, aveva fatto una scelta importante, lasciando i propri genitori e amici in Inghilterra, solo ed esclusivamente per stare vicina al suo compagno, Luca, dopo tre anni di relazione a distanza. Luca sta passando un momento difficile: ha perso il padre da pochi mesi, per una rara malattia, e da un anno ha una seconda relazione con una donna che aspetta un figlio tutto suo e che intende abortire. Il suicidio di Luca avverrà dopo due mesi, colmi di bugie, dall’omicidio di Klea e della amante”.

Il tema della violenza sulle donne è stato particolarmente dibattuto negli ultimi anni, anche alla luce di importanti campagne di sensibilizzazione, organizzate a livello sia nazionale che internazionale. Allarmanti i dati ufficiali: 7 milioni le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subìto violenza, fisica o sessuale, nel corso della propria vita; un milione 400 mila prima dei 16 anni e oltre 7 milioni le donne che hanno subìto o subiscono violenza psicologica.

A fronte del considerevole numero di atti persecutori e dei – purtroppo sempre più frequenti – casi di femminicidio, il legislatore del 2009 e del 2013 è intervenuto inserendo alcune norme nel codice penale e per il tramite della legislazione speciale. Tali interventi hanno creato non pochi problemi interpretativi. Si tratta dell’art. 612bis c.p., introdotto ex art. 7 del d.l. 11/09, e delle norme su sicurezza e femminicidio di cui alla legge n. 119/13. Con la prima norma, si punisce il soggetto che, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Con il secondo intervento legislativo, si è introdotta quale aggravante la relazione affettiva tra l’aggressore e la vittima della violenza, con estensione della stessa a tutti i reati di violenza fisica commessi in danno o in presenza di minorenni o in danno di donne incinte, il tutto all’interno del c.d. “piano anti-violenza”, che prevede azioni di prevenzione, educazione e formazione.

Quali sono, dunque, i problemi interpretativi e pratici?

In primis, occorre comprendere l’essenza del “piano anti-violenza”. Senza “(s)cadere” in considerazioni politiche sulla gestione dei fondi pubblici messi a disposizione per l’attuazione di tale piano, può semplicemente sottolinearsi che esso dovrebbe consistere in misure di prevenzione, collaborazione tra Governo e centri anti-violenza (e, in generale, l’associazionismo ed il volontariato), supportando il tutto con risorse finanziarie. Quali le misure pratiche per attuare la prevenzione e la informazione nel campo specifico dello stalking e del femminicidio? In assenza di un riscontro nella normativa “domestica”, è utile uno sguardo all’estero.

A tal proposito, il WAVE (acronimo di Women Against Violence in Europe) promuove la raccolta, la distribuzione dei dati sulle organizzazioni che lavorano nel campo della violenza (in particolare nei confronti delle donne), campagne informative e attività internazionali, organizzazione di eventi ed incontri per raccogliere informazioni e sensibilizzare tale tematica, oltre che “scambiare informazioni sulle organizzazioni femminili, ricerche, leggi applicabili”, al fine anche di “influenzare le politiche europee ed internazionali sulla violenza nonché stimolare azioni comuni e ulteriori analisi da parte delle donne” e di “sviluppare e promuovere criteri e linee guida a livello europeo in relazione alla legge, ai servizi ed alle strategie di prevenzione”.

Dal punto di vista pratico, invece, ritornando in Italia, la tematica era stata già approfondita (anche dalla sottoscritta), a proposito della istituzione del c.d. “codice rosa” all’interno del Pronto Soccorso dell’Ospedale, un percorso dedicato ai casi di violenza nei confronti delle donne.

L’attuazione di tale operazione in tutta Italia richiederà una decina di anni (questo almeno è l’auspicio!).

Ecco il punctum dolens della questione. L’intenzione di operare in tal senso su tutto il territorio nazionale, attualmente, conosce purtroppo un importante ostacolo: la totale mancanza delle competenze del personale delle aziende sanitarie per poter individuare i casi di violenza nel momento dell’accesso al pronto soccorso. E, si badi bene, tale questione non è di poco momento. Infatti, la persona che subisce violenza tende a non collaborare, si chiude in se stessa, potendo arrivare addirittura a colpevolizzarsi. Questo atteggiamento non aiuta la persona interessata e rende più farraginoso il contrasto a tali fatti sociali. Come già detto in altre circostanze, la (lentezza della) burocrazia mai come in tali occasioni potrebbe essere fatale: le persone che subiscono atti di violenza necessitano di personale competente ad individuarne i principali segnali, oltre che di cure sanitarie del caso, di una task force composta da personale sanitario (medici, infermieri, psicologi) e dalle Forze dell’Ordine che si attivano, gli uni, per la cura medica e psicologica della vittima e, gli altri, per l’individuazione dell’autore della violenza e la messa in sicurezza della vittima presso strutture protette.

La tematica per quanto tanto dibattuta presenta ancora non pochi problemi di attuazione e alla sottoscritta, da ultimo, preme sottolineare che, soprattutto per tematiche di questo calibro, gli interventi legislativi non possono mai essere considerati punto di arrivo, ma sono mero punto in partenza; in particolare, anche alla luce delle considerazioni sopra fatte in merito alle carenti competenze degli operatori per primi interessati al contrasto di tale fenomeno, precipuo pare essere nuovamente il lavoro dei volontari e per le campagne di sensibilizzazione e per le strategie di prevenzione. Che ogni cittadino, del mondo politico e non, prenda esempio! Ad majora semper.

Avv. Sabrina PERRONE

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