Fondo “anti-sfratti”: ecco di cosa si tratta

SfrattoParlare di sfratti, al giorno d’oggi, non è cosa banale, in quanto ad essere coinvolti sono numerosi “interessi”, sia individuali che sociali. Un giusto approccio, a parere di chi scrive, potrebbe essere una analisi delle previsioni legislative, per poi passare ad alcune considerazioni in merito alle esigenze sociali del momento storico, il tutto rapportato alla concezione di diritto di abitazione, quale diritto fondamentale della persona.

Per quanto concerne il primo aspetto, ovvero le previsioni legislative, va sin da subito sottolineato che il procedimento di convalida di sfratto è previsto dal nostro legislatore all’interno del libro IV del codice di procedura civile (artt. 657 ss. c.p.c.) e fa parte dei c.d. procedimenti speciali, sub specie procedimenti sommari (riferimento normativo: artt. 633-705 c.p.c.); si tratta di un procedimento alternativo rispetto a quello ordinario, un rimedio dunque esperibile dal locatore al fine di ottenere lo sfratto del conduttore per finita locazione o per morosità, munendosi in maniera celere di un titolo esecutivo.

Il procedimento, di competenza (inderogabile) del Tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata, è introdotto con atto di citazione, che deve contenere l’avvertimento al convenuto che, ove non compaia all’udienza o comparendo non si opponga, il giudice convaliderà lo sfratto (663 c.p.c.).

Si tenga conto del c.d. termine di comparizione: in particolare, tra il giorno della notificazione dell’intimazione e quello dell’udienza debbono intercorrere termini liberi non minori di venti giorni (con possibilità di ridurre tale termine per i casi di “pronta spedizione”). In particolare, nella ipotesi di sfratto per morosità, con l’atto (introduttivo) di citazione, il locatore può chiedere congiuntamente l’intimazione per sfratto e l’ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e sarà comunque tenuto ad attestare in giudizio la persistenza della morosità.

Ma perché si parla di cognizione “sommaria”? L’espressione è legata al fatto che la cognizione del procedimento è limitata alla verifica della non contestazione da parte del convenuto; pertanto, quest’ultima è condizione sufficiente per determinare immediatamente la pronuncia di un’ordinanza con efficacia di giudicato. Occorre chiarire che la sommarietà pare non impedire la richiesta di risoluzione del contratto (in questo senso, Corte d’Appello Napoli, Sez. III civ., sent. n. 349 del 12 febbraio 2008, secondo cui “Quand’anche non fosse proposta espressamente dal locatore, la domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore deve ritenersi implicitamente contenuta e quindi tacitamente proposta con l’istanza di convalida dello sfratto”).

Nel caso di comparizione ed opposizione dell’intimato, si avrà, a seguito di pronunzia del giudice, mutamento del rito, che diverrà a cognizione piena (rito locatizio, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 667, 426 e 447bis c.p.c.); a tale provvedimento può aggiungersi, nel caso in cui le eccezioni del convenuto non risultino fondate su prova scritta e non sussistano gravi motivi in contrario, un’ulteriore ordinanza non impugnabile di rilascio del bene con riserva delle eccezioni del convenuto (art. 665 c.p.c.).

Le previsioni legislative ed il procedimento esecutivo da esse previsto, però, molto spesso non garantiscono sufficientemente il diritto del locatore di recuperare la detenzione della cosa locata; infatti, quanto premesso, se da un lato appare funzionale alle garanzie del locatore, dall’altro deve inevitabilmente essere rapportato agli allarmanti dati di procedimento per sfratto: attualmente, quasi 50 mila famiglie in tutta Italia è a rischio di sfratto esecutivo, mentre nel periodo 2008-2013 ammontano, nelle sole città di Roma, Napoli e Milano, a circa 20 mila le sentenze a seguito di procedimento per convalida di sfratto, che, specie con l’insorgere della crisi economica, il più delle volte vede la sua causa nella morosità del conduttore. Occorre, a tal proposito, ricordare che la l. n. 15 del 2014 prevedeva una proroga del blocco-sfratti (solo in relazione a immobili abitativi e per finita locazione), per i casi di inquilini con reddito annuo lordo complessivo inferiore a € 27.000,00, in presenza nel nucleo familiare di persone di età superiore a 65 anni, malati terminali, soggetti diversamente abili con invalidità superiore al 66%, non in possesso di altra abitazione nella regione di residenza.
In particolare, nel luglio 2014, il Governo ha previsto il c.d. “fondo anti-sfratti” (20 milioni di euro), destinato ai casi di “morosità incolpevole”, ovvero di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo a ragione della perdita o consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare. Tra i vari casi di “non colpevolezza” della morosità dell’inquilino vi sono la perdita del lavoro per licenziamento, la cassa integrazione notevolmente limitativa della capacità reddituale, il mancato rinnovo dei contratti a termine o di lavoro atipici, la cessazione di attività libero-professionali, derivante da cause di forza maggiore o da perdita di avviamento in misura consistente, la malattia grave, i casi di infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare che abbia comportato la consistente riduzione del reddito complessivo del nucleo medesimo o la necessità di notevole impiego del reddito per spese mediche e cure assistenziali.

Ad esempio, considerando soltanto la regione Sicilia è fatto notorio che la mancata proroga del blocco degli sfratti, unitamente alla mancata ripartizione del fondo per le c.d. “morosità incolpevoli”, può determinare il rischio, soprattutto nelle grandi aree urbane, di una emergenza sociale di grande rilievo, minando la serenità e la condizione abitativa di migliaia di famiglie. A tal riguardo è utile quantomeno richiamare l’orientamento costituzionale circa il concetto di diritto all’abitazione. Un tale approccio non può prescindere dalla cornice fornita dalla nostra Carta: in particolare, l’art. 42 cpv. Cost. impegna il nostro legislatore a rendere la proprietà privata accessibile a tutti; tale norma va rapportata anche all’art. 14 Cost. che, considerando “inviolabile” il domicilio, presuppone che ogni persona ne debba avere uno; ancora, la norma de qua va messa in correlazione con l’art. 47 Cost., secondo cui la Repubblica “favorisce (leggasi come “deve favorire”) l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. Dal combinato disposto delle norme sopra richiamate, emerge una forma di tutela dei diritti sociali quali “valori costituzionali fondamentali”.

Nel medesimo senso, anche la giurisprudenza costituzionale; si richiama, in particolare, la sent. Corte Cost. n. 404 del 1988, in tema di diritto alla coabitazione, in specie di diritto di abitazione del convivente more uxorio quale diritto inviolabile; in tale pronuncia il Giudice delle leggi ha denunciato la mancata previsione del convivente more uxorio tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione in caso di morte del conduttore. La Corte Costituzionale ha, in più occasioni, affermato che “la successione nel rapporto locatizio ha (anche) la finalità di garantire il diritto all’abitazione”. La conseguenza di ciò è che il diritto all’abitazione deve essere considerato diritto inviolabile dell’uomo, ai sensi dell’art. 2 Cost., ed in quanto tale va garantito, stante la sua natura di bene primario proprio per la sua fondamentale importanza nella vita del singolo, riconducendo un diritto dell’individuo a un dovere di solidarietà sociale, in grado di “contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana” (sent. n. 217 del 1988) e di permettere da parte del legislatore di misurare “le effettive disponibilità e gli interessi con essi gradualmente satisfattibili” al fine di “razionalmente provvedere a rapportare mezzi a fini e costruire puntuali fattispecie espressive di tale diritto fondamentale” (Corte Cost. sent. n. 252 del 1989).

Ad oggi, con l’intervento “mille proroghe”, la contrapposizione tra interessi individuali e sociali differenti, l’esigenza sociale di tutelare i diritti “minimi” dei meno abbienti ma anche il diritto alla proprietà privata, è difficile riuscire ad attualizzare l’orientamento della Corte Costituzionale; è da ritenere, ad ogni modo, che proprio il contemperamento di tali interessi sia stata la ratio legis ispiratrice dei provvedimenti di proroga, da ultimo della legge n. 15 del 2014.

Avv. Sabrina Perrone

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