Il mio nemico è un mafioso

basta-omertc3a0Riportiamo le parole di Francesco Massaro scritte sul blog Di Palermo.it che, dopo l’ennesimo furto all’interno del suo bar, ha deciso di non cedere al racket del pizzo. Noi siamo dalla sua parte come lo è la Palermo pulita, quella delle persone – uomini e donne – che ci credono ancora che si possa cambiare, che questa città possa risorgere dalle ceneri.

Sarebbe facile, lo so. Sarebbe facile ma non lo faccio. Non andrò a bussare dal capetto mafioso per chiedergli una tregua, non prenderò il caffè con lui per vedere di chiudere la faccenda come facevano i nostri padri e i nostri nonni. Non comprerò la mia tranquillità pagando il pizzo. Sarebbe la scelta più comoda, ma non lo farò.

Non sono una verginella, non punto il dito contro i commercianti che pagano. So che è difficile non farlo. Conosco le regole del gioco, di questo gioco che si gioca a Palermo. Ma io ho deciso di non partecipare. Non per eroismo, certo che no, ma lo devo a me stesso, alla mia famiglia, alla parte sana di questa città, a quelli che credono ancora nel lavoro come impegno e sacrificio, tutto qui. Nessun compromesso, nessuna trattativa. Col tempo ho imparato a sostituire le sfumature al bianco e al nero. Qui no. Qui non vedo sfumature. Qui la strada è tracciata, e attraverso quella vado avanti.

Io ai mafiosi i soldi del mio lavoro non li do. Semplice. Vengano a prenderli, piuttosto. Coi loro sgherri e le loro impresentabili facce coperte dai passamontagna. Come fanno da anni. Come hanno provato a fare un mese fa nel mio bar, come hanno fatto mercoledì sera stavolta in gelateria. Erano in tre, addirittura. Armati. Sono scappati via con poca roba. Non credo siano cani sciolti, non credo che l’obiettivo siano i soldi. La rapina è il mezzo che colui che li manda utilizza per inviarmi il messaggio. Paga e ti lasceremo in pace. Paga e non verrà a disturbarti più nessuno. Paga e non rompere i coglioni. Fai quello che ti hanno insegnato. Che è giusto fare. Che a Palermo si fa.

Sarebbe facile, lo so. Ma non lo faccio. Non lo farò. Racconterò ai miei amici inquirenti quel che so, quel che vedo, quel che sospetto, quel che annuso in questo quartiere paradigma di una città malata. E aspetterò paziente che qualcuno tolga di mezzo la gentaglia che impedisce a quelli come me di guardare il cielo, di respirare, di sorridere, di lavorare.

P. S. Vi chiedo di perdonare il modesto proscenio che mi sono ritagliando con queste righe. Chiamatela, se volete, autodifesa.

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